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Libri-Recensioni


JOHN GUZZWELL



“TREKKA” INTORNO AL MONDO


Il Trekka, piccolo yawl di circa 6 metri, è stato la piu' piccola imbarcazione che abbia mai circumnavigato il globo, e John Guzzwell percorse su di essa, in solitario, i tre oceani.
L'eccezzionalita' dell'impresa e' data tuttavia non tanto dalle miglia quanto dall'esiguita' del mezzo impiegato. Nessuno prima di lui infatti aveva affrontato con una barca cosi' piccolai rischi connessi a una prolungata navigazione d'altura. E il viaggio che duro' ben quattro anni, compreso un intervallo durante il quale l'Autore si imbarco' sullo Tzu Hang nel tentativo di doppiare Capo Horn, fu una continua esaltante conferma delle esaltanti qualita' marine di una imbarcazione “fatta in casa”.
Ma il risultato tecnico e sportivo cosi' insolito e' stato reso possibile solo grazie all'esperienza e alla abilita' marinaresca dello skipper il quale, estremamente competente sia come costruttore di barche sia di uomo di mare, narra la sua avventura non gia' come un'impresa ardua e difficile, ma piuttosto come un passatempo, un divertimento, quasi una gradevolissima crociera anche quando il mare mostra il suo aspetto peggiore.
La traversata dell'oceano, le isole, la vita a bordo costituiscono altrettante occasioni per un racconto schietto, vivace, continuamente variato, dove anche il lato tecnico viene offerto..strizzando l'occhio, amichevolmente.



John Guzzwell, nato in Inghilterra, passo' la prima giovinezza a Jersey, una piccola isola nella Manica, a stretto contatto con le barche e con il mare. Dopo aver trascorso il periodo bellico in un campo di concentramento tedesco si stabilisce dapprima in Sud Africa e poi, nel 1953 a Victoria, nella Columbia Britannica, dove costruisce la barca con la quale percorrera' ben 33.000 miglia.

Da: Trekka Intorno al mondo – edito da Mursia



Rondetto


Da Portsmouth a Portsmouth





Da Wikipedia


Salì alla ribalta della cronaca quando nel 1968, primo Italiano, attraversò l'Oceano Atlantico da solo su Rondetto, una barca di appena 7,40m . Questa impresa fu messa in particolare risalto dalla stampa inglese al punto che i Sindaci ( Lord Mayors) di Portsmouth e di Gosport si spostarono con tutto il seguito per venirlo a salutare il giorno della partenza.


Prima di questo exploit Erik Pascoli aveva già attraversato l'Atlantico due anni prima partendo dalle Canarie con una barca di 8,50m. costruita a Las Palmas da lui e da un suo compagno d'avventura danese.

Dopo quella prima traversata in solitario a seguito della quale scrisse il libro “Da Portsmouth a Portsmouth” ne seguirono altre due sempre in solitario e sempre con “Rondetto”, una di queste fu quella dell' OSTAR '72 : da Plymouth a Newport (Rhode Island). Grazie invece alla prima di queste due traversate (compiuta in pieno inverno nel Nord Atlantico), lo Yacht Club Italiano di Genova , nella persona del presidente Beppe Croce, gli assegnò l'ambito Trofeo d'Albertis 1970.

Nel 1973-1974 partecipò alla Whitbread, la prima regata velica intorno al mondo mai organizzata con Tauranga, barca di 16,50 messa graziosamente a disposizione dal suo amico napoletano Gennaro Deflammineis. La regata fu funestata dalla perdita di quattro velisti uno dei quali appartenente all'equipaggio di Tauranga. In tale competizione fu il primo Italiano a doppiare Capo Horn in regata; grazie a questo nel 1987 gli venne assegnata la targa di “Uomo del Mare” .

Nel 1975 recuperò la goletta d'epoca Mariette ai Caraibi e grazie alla sua competenza specifica ed ai fondi messi a disposizione dai tre successivi armatori. Al comando di Mariette, Pascoli vinse numerose regate e coppe sia nelle acque di Porto Cervo che di Saint-Tropez.

È scomparso nel 2013 all'età di 71 anni.








MOITESSIER un vagabondo sui mari......
 
Nato ad Hanoi nel 1925, morto il 16 giugno 1994. Opere:Un vagabondo dei mari del sud, Mursia Capo Horn alla Vela, Mursia; LA lunga Rotta, Mursia; Tamata e l'Alleanza, Editrice incontri nautici; Vela, Mari lontani, isole e lagune, Editrice incontri nautici Passò la sua infanzia nell Vietnam. L'Indocina era già dilaniata nella lunga guerra di 50 anni. I ricordi sono legati al mare, ancora ragazzo le prime uscite in barca ed i bagni da incosciente tra gli squali. Ma presto scopre la navigazione, la ricerca della libertà sul mare ed intraprende la sua prima grande avventura finita in un naufragio. Poi imbarchi avventurosi sui cargo per mezzo mondo, sogni di barche di carta pressata....la sofferenza dei sogni senza l'azione. Ci sorprende trovarlo sposato con Francoise e tre figli di lei in una casetta della Bretagna. Ma il cuore già si libra nel vento verso l'avventura come quiete prima della tempesta. Legge con assiduità Joshua Slocum e Vito Dumas studia ogni dettaglio e sfumatura, sogna di mettere lui stesso in pratica le loro avventure. Con l'aiuto di lei e di un amico che ha un'officina gli costruiscono uno scafo in acciaio e che lui amerà più della sua vita. Lo arma da se con mezzi di fortuna, l'albero sarà un palo di telegrafo e sarà ottimo, il motore arriverà ancora dopo e diventerà piano piano la barca che si vede al lato, adesso al museo de La Rochelle. Sarà la barca per tutta la vita. Scuola di vela per comprare il tessuto, le cime e farsi le vele poi... poi via sull'oceano verso le Galapagos ed il Capo Horn. Un giro tanto per fare , ma poi è lì che lui vuole andare, atrovare il suo amico mare ruggente. Arriva poi anche la regata intorno al mondo. La Withbread nel 1969. Con grande stupore del mondo intero decise di abbandonare la gara a vittoria praticamente sicura, e di proseguire per un altro mezzo giro del mondo, fino a far scalo a Tahiti, nella Polinesia francese. La storia della celebre impresa si trova narrata nel suo libro più famoso, "La lunga rotta", probabilmente uno dei libri di mare più belli e più letti in assoluto, che ha fatto di lui un guru per intere generazioni di velisti. Trasferitosi definitivamente in un atollo delle Tuamotu, continuò a stupire il mondo con i suoi gesti e le sue campagne in favore dell'ecologia e del disarmo nucleare. Morì di cancro il 16 giugno 1994, a Parigi. Non è l'unico marinaio né il primo ad essersi avventurato per mare con una piccola imbarcazione a vela. In tempi recenti, poco prima che Moitessier realizzasse nel 1969 il suo giro del mondo senza scalo, altri, come l'inglese Francis Chichester, avevano compiuto l' impresa, e già era gloria di Francia il talento di Eric Tabarly, il quale vinceva le più importanti regate oceaniche per solitari. Ma l'inglese aveva navigato a tappe, si era fatto costruire una bellissima imbarcazione di 16 metri dotata di tutti gli accorgimenti tecnologici, di una radio per comunicare anche a 7000 chilometri di distanza, e persino di una pompa a pressione per la birra alla spina. E Tabarly incarnava già il nascente professionismo delle regate a vela. Riottoso ad ogni complicato sofismo, per vocazione necessitato a navigare "lontano dai falsi dei del mondo civile", fuori del mondo e fuori del tempo, Moitessier rimane personaggio diverso, tutto a sé. Un artigiano squattrinato, un idealista vagabondo che arma il suo ketch di 12 metri, "Joshua" appunto, con quello che gli altri buttavano via, con un palo telegrafico come albero per la vela, sicuro che un palo è la cosa più robusta che ci sia. Niente motore, niente gabinetto, una lampada ad acetilene a fatica sostituita con una a ricarica solare. Una fionda con cui lanciare messaggi alle navi che casualmente incontra sulla sua rotta e, alla quale, poi, presto rinuncia. Nel 1968, partito da Plymouth, in Inghilterra, per la più dura e difficile regata, senza scalo, in solitario intorno al mondo, dopo aver quasi concluso la sua fatica e doppiato i grandi capi di Buona Speranza, Leeuwin e Capo Horn, pressoché vincitore della competizione, Moitessier decide di abbandonare e ritirarsi. Manda tutti al diavolo, rinuncia al premio di 5 mila sterline che lo attende in Gran Bretagna, ad una coppa d'oro, e prosegue senza scalo per un altro mezzo giro del mondo. Di nuovo l'Atlantico, il Capo di Buona Speranza, l'Oceano Indiano, l'Australia, il Pacifico. È il gran rifiuto: gli onori, la cronaca, i soldi, il mondo dei compromessi. "Continuo senza scalo verso le isole del Pacifico - scriverà nel suo diario - perché in mare sono felice e forse anche per salvarmi l'anima. La storia adesso è fra il "Joshua" e me, fra me e il cielo - aggiunge - una bella storia tutta per noi, una grande storia d'amore che non riguarda più gli altri". Nulla si può aggiungere alle parole di un innamorato del mare e dell'avventura. Per questa purezza di sentimento piace e piacerà sempre Moitessier ed i suoi libri.



Da Capo Horn Alla Vela:


"È ora di stendere le mie bianche vele alla leggera brezza di sud-est che mi annuncia essere giunta l'ora di partire ancora una volta verso quella linea dell'orizzonte che la mia barca non raggiungerà mai. Ma dietro quell'orizzonte ci sono altre terre, altri amici che vorrei conoscere meglio prima di doverli lasciare. Destino del marinaio, sempre insoddisfatto, perché pensa che, sull'altra riva, sempre più lontano debba trovarsi quello che cerca. In mare ero felice, perché avevo trovato la pace del mio spirito, una pace totale, profonda, troppo preziosa per dover rischiare di perderla fermandomi prima del tempo giusto. Non potevo sopportare l'idea che il mio viaggio dovesse concludersi poche settimane dopo il Capo Horn. Il desiderio di continuare verso il Pacifico era sorto in me molto tempo prima del Capo Horn. Ma era soltanto un desiderio, qualcosa maturato dallo spirito e che la mia mente accarezzava. Soltanto dopo l'Horn, dopo l'immensa purezza dell'Horn, il desiderio di proseguire, di andare molto più lontano divenne una sorta di esigenza materiale, piuttosto che una decisione pura e semplice. Non si trattava, qui, di arrivare alla fine di un viaggio, ma di giungere alla fine di me stesso. Dovevo proseguire, era necessario che rimanessi più a lungo nelle alte latitudini, dove l'essere umano si trova senza forze, smarrito per la consapevolezza dei suoi limiti, ma dove trova anche coscienza della sua grandezza. In quelle latitudini, sentivo che il mio essere si rimpiccioliva e s'ingrandiva, che lo spirito è carne, e che la carne è spirito. Ecco perché, quando all'alba salivo in coperta, mi piaceva urlare la mia gioia di vivere, mentre contemplavo il cielo che andava rischiarandosi su quel mare colossale per forza e per bellezza, e che, a volte, cercava di annientarmi. Per questo ho continuato. O per lo meno credo sia questo il motivo. Certo, spesso ero preso da un forte smarrimento di fronte ai potenti colpi di vento, alle ondate gigantesche, alle nuvole gravide di pioggia che si rincorrevano a pelo d'acqua portando con loro tutta la tristezza del mondo e tutto il suo sconforto. Ma dovevo continuare lo stesso; forse perché quando si comincia una cosa, si deve condurla a termine, anche se, a volte, non se ne comprendono le ragioni…… Si può forse spiegare che non sono le stelle, il mare, il vento in se stessi a procurarci l'estasi e il sogno, ma che invece sono i nostri sensi e la nostra anima a cercare tutto ciò? Non si chiede a un gabbiano addomesticato perché ogni tanto provi il bisogno di sparire verso il mare aperto. Ci va, e basta. È una cosa semplice come un raggio di sole, normale come l’azzurro del cielo La musica ha il suo ritmo, l’immensità ha il suo, ogni cosa si chiarirà in mare, lì si trova il tempo di distinguere il vero da ciò che non lo è."



Joshua Slocum





Éric Tabarly









Enio Nardi


Enio Nardi è stato uno dei primi italiani a lasciare un lavoro sulla terraferma per dedicarsi a tempo pieno al mare e all'insegnamento della vela. Con i suoi allievi-amici divise il piacere di navigare su e giù per l'Atlantico, fino al grande sogno del giro del mondo realizzato nel 1990-92.La vita di Nardi, le sue barche oceaniche, il suo spirito libero, sonostati ricordati in questo bellissimo libro dalla compagna della sua vita, Ksenija. Una storia di un uomo che racchiude l'evoluzione della nautica italiana degli ultimi vent'anni. Non a caso le scelte dello skipper trevigiano fecero da battistrada ai tanti navigatori italiani in giro per il mondo. È anche un libro tecnico dove vengono descritte numerose rotte, scali e l'intero giro del mondo ripreso fedelmente dai suoi giornali di bordo.





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"Le navi sono oggetti complicati e che si evolvono, ma molto lentamente. E' stupefacente vedere ancora oggi, nelle strade di Messina o nei sobborghi di una piccola citta' greca, o nelle isole di Chio, Lesbo, Samo, o in Turchia, oppure a Gerba, le barche in costruzione, incredibilmente simili a quelle greche o romane come ce le restituiscono l'iconografia antica e l'archeologia subaquea.
Tutto e' simile: la fiancata, l'ossatura, la prua, la chiglia (la colonna vertebrale di tutto l'assieme), l'incastro per l'albero o per gli alberi. Se vi sono delle differenze, stanno nella successione della lavorazione o nella forma del timone, le somiglianze pero' prevalgono."

                                                                                             Fernand Braudel

Bellissimo!











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